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Pubblicato nel mio libro "Il mare non è acqua" stampato nel 2012 da Edizioni Tigulliana
Finalista nell'Ottava edizione del Premio Letterario Nazionale "Città di Colonna" 2011
Pubblicato nella Raccolta Antologica "Buongiorno Italia" Edizioni ANPAI
Il remo e la zappa
Mio padre lo diceva sempre: "Quando vado in pensione non voglio vederlo più nemmeno in cartolina". Il mare, intendeva; "Quant’è vero Iddio!" ce lo metteva poi, avessimo mai avuto qualche dubbio. Così quella mattina non dovette spiegarmi niente, solo prese un vecchio remo, lo legò sul portapacchi e mi ordinò: "Andiamo". Precisamente dove non lo disse, solo indicò l’entroterra, colline da risalire spalle al mare.
Quella del remo era una storia che raccontava ogni volta, dopo aver nominato la pensione: "Quel giorno prendo un remo, me lo metto in spalla e punto dritto alla campagna. Cammino finché continueranno a chiedermi che ci faccio con un remo in spalla; solo quando mi domanderanno dove vado con quel pezzo di legno allora mi fermo: se non riconoscono un remo, non sanno nemmeno cos'è il mare."
Era un’idea folle, a cui non avevo nessuna intenzione di oppormi. Glielo dovevo. S’era sudato tutto quello ch’era riuscito a darmi, laurea compresa, senza mai rinfacciarmelo. Solo aveva preso a chiamarmi "dottò", con quel suo mezzo sorriso. Parlavamo poco, che la sera quando rientrava, dal sonno ciondolava il capo sul piatto. M’è capitato, tornando la notte da qualche serata strappata ai libri, d’incontrarlo in cucina, curvo sulla tazza di caffè che si faceva sempre prima di andare a pesca; invece di salutare attaccava la storia del remo: "Quando vado in pensione…". In ufficio avrebbero fatto senza di me per un po’.
***
Ad ogni paese che incontravamo voleva scendere. Restava vicino alla macchina e fermava la gente con una scusa, chiedendo informazioni a caso mentre armeggiava col portapacchi, finché qualcuno non gli chiedeva del remo; allora rispondeva sgarbato e risaliva in macchina col broncio di un bambino. Se il posto gli era piaciuto s’aggiustava il berretto, passandosi una mano fra i capelli. Lo faceva sempre quand’era deluso, uno dei suoi tanti segni. Andava interpretato mio padre; aveva un gesto per ogni cosa, fossero pensieri o emozioni. Esprimerli non riusciva, bisognava leggerglieli addosso.
Durò settimane, senza risultati. Solo una volta sembrò quasi ci fossimo; un bimbo che andava a scuola strattonò la madre, l’ennesimo capriccio: "Mamma, mamma! Cos’è quel coso?" indicando proprio dalla nostra parte. La donna volse lo sguardo e rimase per un lungo istante in silenzio. Mio padre, che stava discutendo di chissà cosa con un giovanotto, lasciò in sospeso discorso e passante. Poi quella tirò energicamente figlio e cartella: "Un remo! Non vedi che è un remo? Andiamo dai, ch’è tardi." Mio padre mollò il suo incolpevole interlocutore in mezzo alla strada e bestemmiando qualcosa risalì in macchina.
***
Dove arrivammo quel giorno non sembrava proprio un paese, piuttosto erano mucchietti di case sparse lungo la strada che tagliava campi curati con precisione sorprendente, quasi fossero dipinti. Non c’era un posto dove fermarsi, un qualche monumento o una piccola chiesa che facessero piazza. A ridosso dell’unica curva stava la tendina di un bar, perline di plastica scolorite; sullo stretto marciapiede un paio di tavolini e qualche sedia sotto un ombrellone troppo piccolo per servire a qualcosa. Un vecchio fumava solitario. Mio padre mi strinse il braccio. Voleva dire fermati. Voleva dire qui. C’era scritto Trattoria e a fianco avevano l’insegna dei Tabacchi. Dentro, sugli scaffali delle sigarette, pacchi di pasta e scatolame. Papà sedette fuori, al tavolo libero, io entrai a ordinare due caffè. Ce li portò una donna in grembiule che si tirava dietro odore di sugo.
"Tra poco è pronto, se vogliono fermarsi"
"Non so. Ora vediamo…" risposi imbarazzato.
Il vecchio era piccolo e tarchiato, la barba di qualche giorno e la faccia del colore di quella di mio padre, le stesse rughe profonde. Cominciò lui.
"Che ci fa qui un marinaio?" indicando la macchina arrembata sull’orlo della curva, remo compreso.
M’aspettai che papà s’alzasse senza nemmeno finire il caffè. Invece ne prese un lungo sorso.
"Cerco un pezzo di terra"
"E perché?"
"Mi sono stufato del mare"
Quello guardò mio padre come si guarda un matto, poi sorrise.
"State scherzando"
"No, per niente"
Intervenni. Non l’avevo mai fatto.
"Mio padre è in pensione e il suo sogno è sempre stata la campagna, qualcosa da coltivare"
Il vecchio annuì.
"Anch’io sono in pensione e a me ha stufato la terra"
Finimmo nella saletta interna, tagliatelle ai funghi e un vino delizioso che in caraffa proprio non te l’aspetti. Al secondo bicchiere era tutto più chiaro. Quel contadino voleva finire la sua vecchiaia al mare.
"Non l’ho mai visto, il mare"
"È diverso dalla terra"
"È più grande"
"È diverso"
Il vecchio chiedeva di barche e di reti, mio padre di concimi e semenze. Andarono avanti per un po’, poi il contadino se ne uscì con la proposta.
"Ti do la mia terra e ti insegno a coltivarla, se tu mi dai la tua barca e mi insegni a pescare"
Uno scambio, alla pari. A mio padre dovette sembrare un’offerta imperdibile, perché si grattò il naso, che voleva dire "accidenti!", ma l’entusiasmo gli rimase dentro, come sempre.
"Ci sto" si limitò a dire.
Bastò un cenno coi bicchieri appena sollevati e non ne parlarono più, che non c’erano altri dettagli da discutere, contratto firmato. Salimmo in macchina per andare a vedere i campi e la casa. La terra che s’era tenuto sarebbe stata poca cosa per sfamare una famiglia, ma per un pensionato era anche troppa. Il casolare aveva l’orologio rotto, fermo a un tempo cessato tra stanze vuote piene di ricordi. Bello però. Mio padre continuava a grattarsi il naso. Ci fermammo a dormire lì, un letto di casa dopo tante brande d’albergo.
Mi svegliai di buon mattino, ma quei due erano già in cortile a caricare la macchina. Salutai dalla finestra.
"Alla buon’ora" sentii brontolare. Restai a guardarli, come incantato. Un paio di valige, nemmeno colme, erano il bagaglio del contadino.
"Tutto qui?"
"Ancora no"
Con calma il vecchio sparì dietro casa, tornando subito dopo con una zappa in mano.
"Era di mio padre"
Il manico non sembrava troppo lungo, nel bagagliaio ci sarebbe stata, ma volle legarla sul portapacchi, a fianco del remo. Guidando mi capitò di sorridere spesso, pensando alla gente che ci vedeva passare; m’immaginavo le loro facce mentre si chiedevano che diavolo ci facesse una macchina con un remo e una zappa sul tetto.
***
Per chi viaggia il mare appare all’improvviso, fai una curva e te lo trovi davanti. Anche dopo tante volte che l’hai visto fa sempre un certo effetto. Il contadino stava composto sul sedile, solo un po’ sporto in avanti, ma muoveva continuamente gli occhi a piccoli scatti, come a volerlo comprendere tutto.
"È quello il mare?"
"Sì"
"Me l’aspettavo più grande"
"È perché sei a terra. Quando ci sei dentro non finisce mai"
Sembrava deluso, chissà che s’aspettava. Appena arrivati mio padre volle fargli vedere la barca. Era un vecchio gozzo cabinato di legno buono. Gli avevano offerto belle cifre, certi Signori col macchinone.
"Lo do solo a chi ci va davvero, per mare. Le vacanze se le facciano su quei giocattoli di plastica"
"Perché l’hai chiamato Ultimo?"
"Perché basta. Ho avuto altri gozzi, ma questo è l’ultimo, e mio figlio grazie a Dio è laureato, così sono l’ultimo della famiglia a fare il pescatore."
Vicino casa gli mostrò il magazzino. Ci teneva con ordine maniacale decine di reti e attrezzi da pesca. Volle fargli vedere tutto e di tutto spiegargli come s’usava e a che serviva. Tanto che c’era ci mise dentro anche il racconto di una serie impressionante di pesche miracolose. A sentire lui dovevamo essere molto ricchi.
Mangiammo qualcosa di corsa, che il contadino aveva fretta di spiegare a papà cosa non andava nell’orto. Chiamarlo orto era esagerato; davanti all’ingresso c’era una striscia di terra a dividerci dalla strada. I vicini la tenevano a giardino, bei fiori colorati, mio padre ci faceva coltivazione intensiva, piccola serra compresa. Il contadino osservò tutto con cura, sospirando più volte.
"Allora?"
"Beh, diciamo che per essere opera d’un pescatore, non c’è male"
"Cioè?"
"Ecco… se fosse una rete, sarebbe una rete piena di buchi"
Mio padre si toccò l’orecchio sinistro, che a tradurlo bisognerebbe scomodare il Paradiso.
"Hai un coltello?"
Quello tagliò e spuntò per un tempo interminabile, mentre l’orecchio di mio padre diventava viola. Poi prese la sua zappa e dette qualche colpo; s’inginocchiò e si mise a frantumare la terra con le mani. Se la passava tra le dita come a carezzarla, poi l’annusava e, ma forse sbaglio, m’è sembrato l’assaggiasse.
"È buona. È molto buona."
Cominciò a spiegare quel che andava fatto, specificandone il perché e il come, nei minimi dettagli. D’ogni cosa aveva una storia o un proverbio a farne verità, compresi i racconti dei suoi raccolti favolosi, roba che anche lui doveva essere molto ricco.
***
Quella notte andai con loro. Erano anni che non uscivo a pesca con mio padre. Me lo guardai tutto il tempo fare manovra con sicurezza, puntare deciso alle sue poste migliori, calare e salpare le reti con l’agilità d’un ragazzino. E parlava, come non l’avevo mai sentito fare; raccontava storie, storie di mare. A volte tuffava la mano nell’acqua e così bagnata se la passava sul viso e fra i capelli. Sorrideva.
Il contadino guardava e ascoltava attento. Una volta provò anche lui a mettere la mano in mare per bagnarsi la faccia, ma gli bruciarono gli occhi e per un po’ sputò l’amaro del sale sulle labbra.
***
La cosa successe lentamente; giorno dopo giorno il contadino passava sempre più ore nell’orto e mio padre usciva sempre più spesso in barca, soli.
"Sentirai che pomodori quest’anno"
"Guarda qui che Dentice, uno spettacolo"
Se lo dissero a pranzo.
"Parto"
"Io resto"
Venne a prenderlo il figlio la sera stessa. Avrà avuto la mia età, gentile e premuroso. Laureato. Provai a specchiarmici, corrispondevo. Eravamo figli di quel tipo di padri.
***
Andò a riprendersi la zappa dal casotto degli attrezzi e discusse a lungo col figlio che voleva la mettesse nel bagagliaio.
"E va bene! Legala sul tetto"
Fece qualche passo verso mio padre. Non si dissero niente, solo s’abbracciarono, come fanno due fratelli, a lungo e stretti stretti. Prima di salire in macchina il contadino si voltò per un ultimo saluto.
"Buona pesca!"
Mio padre si strizzò vigorosamente il cavallo dei pantaloni.
"In culo alla balena!" rispose con la voce strozzata.
Li seguimmo fino alla curva che se li inghiottì.
"Perché non gliel’hai detto?"
"Cosa?"
"Che non si augura buona pesca"
Alzò le spalle. "Che vuoi che ne sappia lui di mare?"
"E tu? Che ne sai tu del mare?"
Mi fulminò, poi annuì ripetutamente.
"Hai ragione. Chissà quante cose mi tiene ancora nascoste"
Già, tante, che nemmeno sapeva quanto l’amasse.
Giovanni Ciaravolo © Copyright 2011 Tutti i diritti riservati