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Pubblicato nella raccolta "Gente che scrive sui... Carabinieri" Edizioni Lulu 2013
i cui proventi vanno interamente in beneficenza
L’opportunità
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Il pallone scivola da sotto il braccio di Giovanni senza un qualche lancio, neppure l’accenno d’un passaggio, solo l’allentarsi impercettibile della presa e la sfera che prende a rotolare sul fianco, poi sulla coscia, fino a colpire terra, ma lentamente, per rimbalzare piano una, due, tre volte, e tornare a rotolare ancora più adagio vicino a Luca, proprio a un niente dal suo piede che deve muoversi appena per toccarlo senza che sembri un calcio, ma solo un urto casuale, un’involontaria carambola. Cambia direzione il pallone, l’inverte sino a farne ritorno, ruzzolando verso Giovanni. Il calcio stavolta si vede, svogliato, quasi indifferente, ma calcio, spinta volontaria. Deve fare due passi Luca per colpirlo col suo, di calcio, e glielo mena forte, abbastanza perché Giovanni debba correre per raggiungerlo, fermarlo, prendere la mira e ritirarlo, senza alcun dubbio, questa volta, che quello fosse proprio un passaggio.
Ora giocano, in silenzio. Poi suona la campanella, ricreazione finita.
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Col sole la piazza è di un bianco accecante, le pietre lisce e l’intonaco dei muri antichi abbagliano, come un faro troppo vicino. Piazze di paese, dove le cose succedono tutte e tutte nessuno le vede mai. Mai per come sono.
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Il pallone non esita più; è da un po’ che va deciso, ora da uno, ora dall’altro, che a vederli più che palleggi sembrano amici.
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Col sole la piazza abbaglia, e Don Michele non lo vede mai nessuno, anche perché non c’è mai nessuno in piazza quando passa lui, tranne quei due in borghese, che si vede lontano un chilometro che sono sbirri.
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La campanella ancora suona che già il cortile è pieno di enormi zaini colorati con sotto figli, decine di figli e appena fuori padri e madri a cercare, a riconoscere e a riprendersi i propri. Anche quello col cappello d’ordinanza e l’altro con la coppola. Neri. I cappelli.
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Gli occhiali da sole tutt’e due. Periferia, anzi campagna, che in piazza non si sa mai, ci fosse nuvolo.
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Ce lo porta la mamma.
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Quel ragazzetto si fa qualche passo avanti in mezzo alla stanza, verso l’amico che gli sorrise, poi si ferma, lo sguardo un po’ di sbieco a controllare l’ombra possente del padre di Luca che sorride di più.
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Tra le mani stringe qualcosa che non si capisce. Neanche il fiocco si capisce che dovrebbe essere un fiocco.
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Senza aspettare altro glielo porge. La carta è di quelle riciclate dal Natale passato, dentro solo un foglio ripiegato in quattro, senza troppa precisione. C’è un disegno. I colori sono smorti, matite colorate, il tratto indeciso, ma le figure chiare, senza bisogno d’interpretazione. Due bambini si tengono per mano al centro del foglio; con l’altra mano, ai lati esterni, tengono quella di due grandi, probabilmente i papà. I due adulti hanno la testa scoperta, niente cappello. Anche i pantaloni e quelle che forse sono camice non hanno nulla che li distingua. E niente baffi, niente barba, niente; due padri uguali. A guardare meglio anche i bambini sono identici, stessi vestiti, stessi colori. Poco più in basso un pallone, immobile, quasi aspettasse ancora il primo calcio di quel gioco.
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Mentire ai bambini bisogna averci il pelo sullo stomaco o credere che possa servire a qualcosa d’importante. Oppure, semplicemente, non ci si riesce.
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Giovanni fa un passo, gli occhi bassi. Il Carabiniere si china, fino a inginocchiarsi per prenderlo tra le braccia, che sarebbe un abbraccio se solo non stesse così rigido. Ma il Carabiniere non molla, resta in ginocchio stringendo quel frugoletto, mentre gli sussurra qualcosa nell’orecchio, fino a che, lentamente, come in un abbandonarsi, quello non gli poggia la testa sul petto. Allora, con la mano enorme che si ritrova, fa qualcosa che passando tra i capelli un po’ scompigliati di Giovanni sembra proprio una carezza. Chissà perché, anche a certi uomini, così tutti d’un pezzo, certe volte, per certe cose, gli si fanno gli occhi umidi.
Giovanni Ciaravolo © Copyright 2012 Tutti i diritti riservati