Giovanni Ciaravolo

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I miei racconti


Questo racconto ha vinto la Menzione d'Onore al concorso letterario

"Franco Delpino" 20° edizione 1997


L'acqua e l'oro

Stava per uscire quando la giovane donna gli si fece incontro, porgendogli un grande cappello di paglia con l'eccessiva premura di chi ama. L'indossò un poco di sbieco, calato per bene sulla fronte; poi, senza dire una parola, le sfiorò il viso con una carezza leggerissima, un gesto incredibile per quelle mani possenti, indurite dal lavoro ma ancora capaci di modulare tanta dolcezza quanta ne serviva per esprimere quel grazie.
Spalancò la porta che dava sui campi e senza esitare s'avviò verso l'ennesima giornata di lavoro, mostro di fatica a guardia d'un tozzo di pane.
Malgrado l'alba avesse appena smesso d'arrossare il cielo, l'aria s'era già fatta pesante, densa del vapore che la terra seccando liberava con qualche sfumatura d'azzurro, distorcendo le cose d'intorno, come fosse una grande lente difettosa retta da mani incerte. Il sole ancora basso già infieriva da un orizzonte invisibile, annullato dalla luce accecante che la grande sfera vomitava, liquefando ogni forma in una pozzanghera incandescente, confusa massa luminosa. Benedisse sua moglie per quel brutto cappellaccio di paglia, tanto ridicolo quanto vitale in una giornata come quella.
Al solito iniziò con l'andare ad aprire i canali per dare acqua ai campi, decidendo di farlo prima l'indomani mattina per non dovere bagnare una terra rovente, ormai incapace di assorbire acqua in profondità. Già sudava quando arrivò al raccordo. Fu solo allora che se ne accorse.
Il fosso grande era asciutto, completamente secco, lo strato di fanghiglia sul fondo già crepato. Mancava l'acqua, tutta, neppure una goccia.
D'estate un campo senz'acqua è la condanna per tutto il raccolto, qualcosa di enorme per le piccole braccia di un uomo. Faticò a dominare la disperazione, imponendosi di ragionare, per cercare un motivo che pure doveva esserci, una qualche causa da rimuovere per far tornare l'acqua. Decise in fretta che doveva andare al fiume per controllare il canale, forse ostruito dai detriti portati dalla corrente, l'unica spiegazione che gli sembrò possibile.
Quello che lui chiamava fiume era in realtà un grosso torrente, l'acqua fresca ed abbondante di una fonte sulle ripide colline che segnavano a Nord il confine dei suoi campi, un rotolare affannoso giù a valle, fino al grande fiume della pianura, l'ultimo tratto del lungo viaggio per incontrare il mare, l'infinito dove confondersi.
Il sole s'era fatto feroce e l'acqua lontana, non ricordava tanto. Giunto sull'argine vi si inginocchiò, come colpito allo stomaco da un pugno forte, come vinto da quel che aveva di fronte, ben oltre il peggio che aveva saputo immaginare. Il canale era libero, niente che impedisse all'acqua di passare, solo che l'acqua non c'era, per niente, quasi non ci fosse mai stata. Il letto del torrente era inesorabilmente asciutto, tanto arido che al pianto del contadino non sarebbero bastati cent'anni per inumidirlo appena.
Certe schiene però non sanno stare piegate senza terra da zappare, così si calmò quel tanto che poteva bastare a rialzarsi e riprendere il cammino, per ripercorrere il corso di quel rivo arso fino alla ragione della sua siccità, fino al perché di quella morte. Risalì per un bel pezzo la collina, dentro nel bosco, dove le fronde fitte dei castagni intrecciavano ombrelli d'ombra che gli concessero finalmente un po' di sollievo. Camminò ancora per un buon tratto, arrivando dove il corso scosceso del torrente s'addolciva in una breve spianata per poi deviare secco e tornare a farsi ripido sul fianco della collina. Qui, proprio dove il letto deviava a gomito, un mucchio di grandi pietre miste a fango ostruivano il passaggio all'acqua che si allargava nel piccolo piano a formare un laghetto che sul bordo più basso rompeva gli argini, scaricando l'acqua sul fianco opposto della collina, in mezzo al bosco, dove si perdeva in mille rivoli inutili. Il contadino si fermò. Era arrivato.
Quel muro di pietre non poteva essere il capriccio del caso, una frana o il trasporto della corrente. Tutti quei massi li aveva certo portati qualcuno e disposti con cura e mestiere perché deviassero l'acqua proprio in quel punto; inconfondibile c'era la mano dell'uomo in quel disastro. Non se ne curò molto e rinunciando a inutili domande si limitò a fare l'unica cosa che avesse per lui un senso: si mise a togliere le grosse pietre, una per una, gettandole oltre la sponda del torrente. Stanco e sfinito dal caldo trovò nella disperazione la forza di continuare, rianimato dal contatto con l'acqua che cominciava a filtrare dalle prime brecce nella diga.
Assorto in quel gran maneggiare di pietre non s'accorse degli uomini che silenziosi erano comparsi sul costone e lo stavano osservando immobili, come animali a caccia, fino a quel ruggito.
- Ehi tu! Che stai facendo? -
Il tono di quella voce gli gelò il sangue, un verso secco ed imponente, allenato al comando. Tra le vibrazioni di un'accusa modulava l'acuto di una condanna senza appello. Il contadino ripose istintivamente la pietra che aveva in mano nel mucchio da dove l'aveva tolta e volse lo sguardo al gruppo di uomini che continuavano ad osservarlo tesi in una fissità irreale, cariche pronte a scattare. Erano una decina, armati di grossi fucili che ostentavano con arroganza. L'uomo che aveva parlato stava un passo avanti agli altri con le mani sui fianchi ed una smorfia che gli contraeva il viso in un ghigno agghiacciante, il piacere di una belva in agguato che fiuta l'odore della preda.
Non era difficile riconoscere in quell'uomo il Barone, anche se giù in paese era stato visto solo poche volte. Certi uomini rimangono impressi, forse per esigenze di sopravvivenza.
Il Barone era il nuovo padrone delle colline, ma non era chiaro a nessuno come ne fosse venuto in possesso; circolavano però certe voci su come avesse estorto quei terreni al vecchio proprietario, un giro di prestiti ad usura, impossibili da saldare.
- Allora! - Tuonò ancora il Barone - Che stai facendo? -
- Buongiorno Signore. - rispose timidamente il contadino - Vede... sto liberando il corso del torrente da queste pietre, che fanno perdere l'acqua nel bosco. I campi stanno seccando. -
Riprese una pietra per continuare il lavoro che credeva di aver giustificato a sufficienza, ma non ebbe il tempo di gettarla via.
- Fermo! - Quella voce fendette ancora l'aria come una frustata dolorosa, crudele - Questa è proprietà privata e tu non puoi toccare niente! -
- Ma l'acqua... l'acqua mi serve; senza perdo il raccolto! -
- E bravo! - fece il Barone, la cui smorfia s'era fatta ghigno - Tu t'ingrassi con la mia acqua ed io non ne devo ricavare niente? -
Il contadino non rispose subito, spiazzato da quell'arrogarsi un diritto che non conosceva.
- Ma Signore... l'acqua di un fiume non appartiene a nessuno - si decise a dire - è un dono del Cielo che nessuno ha il potere di negare. -
Il Barone esplose in una risata, forte e umiliante:
- Dell'acqua forse no, ma delle mie pietre posso fare quello che voglio e adesso mi piacciono dove sono! Se proprio vuoi l'acqua prova a chiedere al Cielo, magari fa piovere proprio sui tuoi campi. -
- Ma... il raccolto, perderemo tutto! - ora il contadino quasi piangeva - il lavoro di tutto un anno andrà in malora in pochi giorni... così lei ci rovina. -
- Io non voglio rovinare nessuno. - rispose il Barone addolcendo un poco il tono - se proprio vuoi la mia acqua basta pagarla, come ogni altra cosa. -
Il contadino s'acquietò un poco, scorgendo uno spiraglio, il barlume d'una speranza.
- Se è del denaro che volete, possiamo metterci d'accordo - propose allora - siamo povera gente, ma l'acqua possiamo pagarvela, anche a costo di qualche sacrificio. -
- Bene! - rise il barone - vedo che cominci a capire. -
- Ditemi allora quanto - insistette il contadino - sono certo che troveremo un accordo. -
Il Barone fece qualche passo carezzandosi quel po' di barba che s'ostinava a lasciar crescere.
- L'acqua vale molto - si decise a dire - di tutti gli elementi è il più prezioso. Di conseguenza il suo prezzo è alto, molto alto. -
Seguì un'altra lunga pausa, lo studiato indugiare d'un attore consumato.
- Quattromila Scudi possono bastare - e dopo un attimo puntualizzò - al mese, naturalmente. -
Il contadino sbiancò in volto, poi balbettò:
- Ma... ma state scherzando? Quattromila Scudi non riesco a ricavarli dall'intero raccolto di un anno! Come posso darveli per un solo mese d'acqua? -
Al Barone venne quello doveva credere un sorriso.
- Non ho tempo per gli scherzi io - rispose - e non mi importa quanto ti rende la terra. Quello è il prezzo della mia acqua. Ma se non ti interessa lasciala dov'è, a perdersi nel bosco. -
Il contadino stringeva ancora in mano una grossa pietra e dovette imporsi una faticosa calma per non cedere all'impulso di scagliarla contro quella voce odiosa.
- Ma non è possibile, è tutto così assurdo - protestò il contadino - ci deve essere un modo, un accidente di rimedio. -
- Ecco, a pensarci bene una soluzione ci sarebbe - disse piano il Barone, fingendo di seguire un pensiero improvviso.
Il contadino tacque, fissandolo con uno sguardo che non voleva piegarsi ad implorare ma che non possedeva più la forza dell'orgoglio.
- Devo ammettere che i tuoi campi mi interessano - proseguì il Barone - e che potrei essere tentato di comprarli ad un giusto prezzo. Diciamo che posso arrivare ad offrirti duemila Scudi. -
- Duemila Scudi per tutta la mia terra, quando me ne chiedete quattromila per un mese d'acqua? -
- Compresa la cascina, naturalmente. Cosa vuoi che valga quel po' di terra secca? Nessuno offrirà di più per quel deserto, quell'inutile manciata di sabbia. -
- Adesso è tutto chiaro! - urlò il contadino - Non ci voleva molto a capire! Togliendomi l'acqua volete costringermi a vendere la terra per una miseria, e a quel punto vi basterà rimuovere la diga per avere i campi rivalutati e fertili. Siete un ladro, un maledetto ladro! -
Il Barone mosse solo un braccio per fermare quel paio dei suoi uomini che s'erano fatti qualche passo avanti, brandendo i fucili.
- Attento a quel che dici contadino! - minacciò il Barone - Quel che faccio è perfettamente legale. Non osare mai più offendermi dandomi del ladro, anche perché, come vedi, i testimoni non mi mancano per farti marcire in galera. Non peggiorare le cose e cerca di ragionare: se non mi farai perder tempo ti renderò tutto molto meno penoso. -
Il contadino non riuscì a replicare nulla, sopraffatto dalla furia che gli montava irrefrenabile; scagliò in terra la pietra che teneva ancora in mano e voltò le spalle al Barone, riscendendo il corso del torrente a lunghe falcate, quasi correndo. Non sentiva più la fatica, il caldo torrido o la sete, non sentiva più niente, neppure i muscoli che gli muovevano meccanicamente il corpo ad un passo eccessivo.
Non trovò il coraggio di tornare a casa. Attraversò tutti i suoi campi e si accasciò all'ombra di un albero, l'unica grande quercia sul confine di Levante.
Il vecchio arrivò poco dopo, chissà da dove, e senza fare domande si sedette accanto al padrone. Aveva il viso segnato da rughe profonde, l'intaglio grezzo del sopravvivere che gli scolpiva una severità appena stemprata dalla pacatezza dello sguardo. Da sempre era al servizio di quella famiglia con cui divideva le tante fatiche e i pochi frutti. Aveva lavorato col padre e prima ancora col nonno di questo padrone, guadagnandosi il rispetto di tutti, tanto ch'era rimasto servo solo nel proprio atteggiamento, parte di un senso del dovere che nessuno gli pretendeva più.
Stettero così, seduti fianco a fianco, in un silenzio irreale, tutto il tempo che ci volle al contadino per sciogliere quel nodo intricato che aveva nel petto e liberare finalmente un pianto sfinito, debolissimo, così difficile da accettare. Tra le lacrime raccontò con un filo di voce il furto dell'acqua e l'avidità del Barone. Il vecchio ascoltò senza mostrare sorpresa, quasi distratto, come se conoscesse già quella storia, la solita di ogni sopruso. Quando il racconto del contadino fu terminato stette ancora un po' in silenzio, come a cercare le poche parole che bastavano:
-L'acqua ce l'hai- disse -ci sei seduto sopra.-
Era un ricordo quasi perso, sopravvissuto nella memoria di qualche anziano che lo aveva riposto da tempo tra le cose inutili, di quando le terre della famiglia non si spingevano sino al fiume ma erano un podere molto più modesto e l'acqua per i raccolti veniva ancora attinta da un vecchio pozzo che stava proprio sul confine di Levante. Costava fatica allora irrigare i campi con i secchi e la forza delle braccia, fino a quando venne il giorno del matrimonio, quello del primogenito con la bella figlia del vicino che portò in dote le terre a ridosso del torrente, dono prezioso dell'amore di un padre a cui portavano via l'unico fiore. Furono subito scavati i canali d'irrigazione, poi, quando nei campi arrivò finalmente l'acqua del fiume, il pozzo venne subito chiuso, come a sotterrare in fretta la memoria di tanto sudore.
Il vecchio non aveva mai avuto pudore dei ricordi, per quanto dolorosi fossero, e sapeva ancora bene dov'era un tempo l'apertura del pozzo: per mostrarla al padrone non dovette neppure alzarsi, gli bastò levare il braccio e puntarlo proprio dove stava seduto il contadino, sul mucchio di pietre sotto la vecchia quercia.
L'acqua tornò ben presto nei canali, ma era acqua amara, inasprita dalla fatica fatta nel silenzio dell'orgoglio, per salvare comunque il raccolto, alla faccia del Barone.
Sarebbe potuto finire tutto lì, col Buono che in qualche modo la spunta sul Cattivo, nel più classico dei finali, che vuole il Bene trionfare sul Male, epilogo scontato e retorico; però certe storie attingono linfa dalla realtà, non sono favole fantastiche per gli stomaci delicati dei bambini. Hanno qualcosa di vero, e se nelle storie ci metti la vita allora capita di sentire la puzza del Male, la tenacia ottusa dell'avidità.
Quella mattina il contadino andò per primo alla grande quercia ad aprire il pozzo come faceva ormai da diversi giorni, ma appena scostò la pesante lastra d'ardesia che ne chiudeva l'apertura un forte fetore si diffuse nell'aria, un tanfo di marcio insopportabile. Un solo secchio fu calato per raccogliere quell'acqua fetida, giallastra e densa, con tutta la famiglia immobile intorno al pozzo a fissare un insignificante recipiente colmo d'odio, cercandone in silenzio il perché. Solo il vecchio ebbe il coraggio di cucire addosso al sospetto di tutti gli stracci di poche parole:
- Il Barone ha avvelenato l'acqua - si limitò a dire - non possiamo più usarla per i campi. -
Il Male è incomprensibile a chi non sa servirsene per vendicarsi. Occhio per occhio è un peccato punito con lo stesso peccato, bisogna averci lo stomaco del boia. Se non può diventare rabbia, il male subìto rischia di diventare rassegnazione, ciò di cui si nutre la prepotenza. Fu ancora il vecchio a parlare, rompendo il pianto delle donne, il lamento dei giovani ed il silenzio agghiacciante degli uomini:
- L'avidità non si può fermare - disse - è febbre incurabile che rode come un cancro e trova sollievo solo nell'avere, nel brandire, nello sbranare. -
Parlò il vecchio, molto più a lungo del suo solito centellinare l'essenziale, ma per certe cose aveva bisogno di più parole, di tutta quella saggezza cresciuta tra la povera gente, come in un terreno sterile lavorato a lungo con l'ostinazione della fame, fino a renderlo fertile a forza di sterco.
- Se l'avidità non si può fermare - continuò - la si può però accecare, abbagliandola... -
Non terminò la frase ma si avvicinò al contadino e con un lieve cenno del capo si fece seguire un po' in disparte, dove nessuno potesse ascoltare cos'altro aveva da dire, come se raccontarlo a tutti fosse troppo per quel sottile filo di speranza che poteva spezzarsi di colpo a reggere tante attese.
Il giorno dopo nel ponte sul torrente, vicino al confine che divideva le colline dai campi, il Barone passò con un paio dei suoi uomini alla ricerca di un incontro che sembrasse casuale e che non tardò a trovare proprio in quel punto, dove il letto del fiume si faceva profondo e la mancanza d'acqua lasciava scoperto uno spesso strato di ghiaia tanto fine dal sembrare sabbia. In ginocchio su quell'arenile stava il contadino ad armeggiare con una sorta di setaccio, un attrezzo fatto con materiale di recupero, in fretta. Il Barone si fermò incuriosito ad osservare l'uomo che freneticamente passava manciate di sabbia tra le maglie grossolane della rete metallica.
- Che stai facendo? - Urlò, come se fosse assolutamente necessario gridare per distogliere il contadino da tanta foga. L'uomo alzò il capo e riconosciuto chi lo chiamava gettò in terra il setaccio e si tolse il cappellaccio, portandoselo al petto in un chiaro segno di reverenza, balbettando qualcosa:
- Che Dio vi benedica Signore! Che Dio vi benedica! -
Il Barone provò a sfoderare l'ennesimo sorriso che avrebbe voluto divertito e maligno ma che non gli riuscì.
- Il caldo ti ha forse dato alla testa? - chiese senz'aspettare risposta - Cosa credi di trovare in quel mucchio di sabbia? -
- Oro Signore! Oro! -
Il contadino pronunciò quella parola preziosa con quanta più enfasi poté, come a volerla ingrandire a dismisura per renderla degna di ciò che nominava.
- Oro?- ripeté il Barone -cosa vai bestemmiando, stupito bifolco! -
- Oro Signore, Oro! - insistette il contadino - Oro in gran quantità! -
In un attimo il Barone attraversò il ponte e scese precipitosamente dalla sponda verso il letto del fiume dov'era il contadino che già gli tendeva la mano aperta, colma di pietre gialle e lucenti, a prova di ciò che diceva.
- E' proprio Oro Signore, Oro vero; m'hanno detto che è purissimo. -
Il Barone diede appena uno sguardo all'Oro, il minimo indispensabile a valutarlo, come se non sopportasse la vista di quel nobile metallo nelle mani di un contadino, indegne di qualunque ricchezza, buone solo per spalare letame.
- Vedo, vedo! - si limitò a dire - Conosco l'Oro e questo lo è di certo. -
Si chinò a raccogliere il setaccio e vi gettò un paio di manciate di sabbia che scrollò rabbiosamente, facendola passare tutta per la griglia che però rimase vuota. Provò ancora, fino a quando qualcosa brillò tra gli ultimi frammenti di ghiaia. Il contadino sorrise con l'aria un poco ebete di chi ha avuto una conferma che non gli serviva.
- Bene! - minacciò il Barone - adesso ridi, ma la festa non durerà! - aveva la voce alterata, gli occhi sbarrati - Quest'Oro non ti appartiene perché il fiume lo ha certo portato quaggiù dalle alture, quindi è di chi possiede le colline. Mio! quest'Oro è mio! -
Per un lungo istante sembrò che non succedesse niente e l'eco ingombrante di quella voce ebbe il tempo di dissolversi nell'aria senza che un solo gesto ne accompagnasse l'oblio. Poi qualcosa tornò a muoversi e fu ancora voce, quella ferma e pacata del vecchio, comparso all'improvviso sul ponte, come materializzato dal nulla. Aveva il tono solido della ragione, pochi colpi precisi per sgretolare un castello di soprusi:
- Non c'è nessuna legge, per quanto contorta ed ingiusta, che possa darti ragione, e nessun giudice, neppure il più corrotto, ti assegnerebbe un solo grammo di quell'Oro. -
Il Barone dovette fare uno sforzo per riuscire a restare calmo, limitandosi a cambiare tono, per usare il suono senza inflessioni di chi parla a se stesso, come se quel servo non fosse neppure degno di una risposta.
- Se qui c'è l'Oro - disse - deve esserci anche più a monte, dove il fiume scorre sulle mie terre. -
- Anche in questo hai torto. - ribatté il vecchio - Sulle colline il torrente ha un corso molto ripido, quindi tutto l'Oro è stato certamente trascinato a valle dall'acqua, proprio qui, dove comincia a pianeggiare. -
Le parole del vecchio fecero perdere al Barone quel poco di pazienza che ancora gli restava, fragile equilibrio andato in frantumi.
- Fetenti straccioni! - urlò - vi costringerò a vendermi la terra! Aprirò la diga, così l'acqua sommergerà per sempre il vostro Oro. Qui il fiume è troppo profondo e la corrente ancora molto forte perché possiate recuperarlo. Io vi rovino, altro che Oro! -
Poteva sembrare una mossa vincente, di quelle definitive. A monte di quell'ansa il fiume scorreva sulle terre del Barone, così al contadino mancava lo spazio per costruire un'altra diga. Il vecchio aveva però un'ultima mossa, un pezzo ancora libero sulla scacchiera, una piccola pedina da mettere al posto giusto e dare scacco:
- Apri pure la tua diga - disse - così riavremo l'acqua e salveremo il raccolto. A noi può bastare. In fondo l'acqua è tutto quello che vogliamo. Invece a te non serve a niente, perché tu vuoi la terra e ancora di più vuoi l'Oro. -
Fece una lunga pausa, senza che il Barone avesse la forza d'interromperla.
- Certe cose hanno un prezzo molto relativo, vero Barone? - intervenne il vecchio - La tua acqua poco fa valeva più di un anno di raccolto, ed ora ce la vuoi dare per niente, regalata. Al contrario la nostra terra che valeva pochi spiccioli, adesso frutta addirittura un capitale. Strano vero? -
Sorrise, con un sorriso aperto, disarmante, di quelli che non hanno nulla da nascondere e ciò che significano ve lo si legge chiaramente. Al Barone non piacque.
- Che fai tu? - disse rivolto al contadino - ti fai rappresentare da un servo? Avanti fai il tuo prezzo! Il resto sono chiacchiere, stupide chiacchiere, buone solo a perder tempo. -
Il contadino si rimise il cappello in testa e tornò eretto, in una posizione più dignitosa, poi si portò le mani sui fianchi e parlò con una voce che il Barone non gli conosceva, l'accento inconfondibile dell'orgoglio, il timbro di chi difende molto di più che un pezzo di terra.
- Forse non se ne rende conto signor Barone, ma ormai non è più tempo di ricatti. Se vi interessa l'Oro allora l'Oro è in vendita, ma al nostro prezzo, altrimenti riaprite pure la diga, che per noi non fa differenza. -
- Finalmente! - rispose il Barone - Sentiamo dunque il tuo prezzo! -
- Per la terra - continuò il contadino - possiamo fare uno scambio alla pari, i nostri campi per le vostre colline, ma per l'Oro del fiume.... per l'Oro del fiume voglio il titolo di Barone. -
Aveva alzato il prezzo di molto, tanto che fosse troppo, andando ben oltre il valore delle cose, per chiedere quello che un uomo non dovrebbe mai essere in grado di vendere, la propria dignità. Il Barone sgranò gli occhi, incapace di nascondere la sorpresa per quella richiesta insensata. Faticò a rispondere:
- Il mio titolo? Che te ne fai tu di diventare Barone? -
- Se vi interessa, questo è il prezzo del mio Oro, Signore; cosa poi me ne faccia della nobiltà sono fatti miei. Voi non avete figli, così non avrete difficoltà a cedermi il blasone; è tutto perfettamente legale. -
ll Barone taceva confuso, visibilmente combattuto tra l'orgoglio della nobiltà e la forte tentazione dell'Oro. L'esatto valore di quel blasone gli sfuggiva, tesoro costato assai poco, ereditato per diritto di nascita, mentre sotto quel po' di sabbia giaceva una vera fortuna, ricchezza, lusso ed abbondanza oltre lo spreco.
- Ecco, vedi.... - balbettò - non saprei.... Le mie colline valgono molto più delle tue poche terre e la mia casa è una vera reggia a confronto della tua stamberga; già un cambio del genere ti sarebbe molto vantaggioso, ma il titolo no... il titolo proprio non posso. -
- Si decida Signore - lo incalzò il contadino - questa è l'unica offerta che le faccio, non ce ne saranno altre. Se rifiutate adesso vorrà dire che voi resterete Barone con le vostre colline ed io contadino con il mio Oro. -
- E sia! - sbottò il Barone - avrai il titolo e le colline, ma ad una sola condizione: voglio che firmi un patto che ti obblighi a lasciare la diga dov'è, così potrò prendermi l'Oro senza rischiare di subire ricatti. -
Gli sguardi del vecchio e del contadino si cercarono per incontrarsi in un chiaro segno d'intesa, l'identica luce che vi brillava come riflessa da un'anima sola. L'accordo si fece la sera stessa davanti al notaio del paese, firmando una montagna di carte bollate, pochi spiccioli d'inchiostro a sporcare decine di fogli assolutamente inutili se non fosse per l'attitudine di certa gente a fottere il prossimo.
Fu così che il contadino diventò nobile e tornò ad avere della buona terra, anche se a giudicare da come l'avevano lasciata, gli uomini del Barone dovevano essere più abili a menare le mani che a usare una zappa. Le colline erano però ricche d'acqua ed in parte coltivate a terrazze, quegli enormi scaloni in pietra riempiti di terra come vasi giganti, grandi quanto doveva essere la fame di chi si spezzò la schiena per inventarsi qualcosa da seminare anche lassù. Decine di filari d'uva, vigne buone per il vino, e poi ulivi per l'olio, castagni ed alberi da frutta. Tonnellate di lavoro insomma, che non potevano però spaventare una famiglia di contadini, gente senza tempo da perdere.
Passò un solo giorno e già il contadino era impaziente di andare giù al fiume. Il vecchio dovette faticare parecchio per riuscire a convincerlo che non era ancora tempo. Così, lentamente, passò anche il secondo giorno, ma non bastava ancora, bisognava rassegnarsi ad aspettare. Poi finalmente arrivò il terzo giorno, quello buono.
- Vai - si limitò a dire il vecchio, e non c'era bisogno d'aggiungere altro.
Il contadino arrivò al ponte quasi correndo, col fiato corto, ma si fermò solo quando riuscì a vedere il letto asciutto del fiume per posarci lo sguardo, fissando un punto preciso, dove fino a qualche giorno prima scorreva impetuosa l'acqua delle colline, mentre adesso non c'era più niente, solo un uomo sudato, curvo sulla sabbia. Ciò che restava del Barone era quasi irriconoscibile. Sporco e stanco maneggiava il setaccio senza più forza né convinzione, quasi senza più cercare. Solo negli occhi aveva ancora dell'energia, lampi di luce malata, febbrile, la forza irriducibile della follia. Con l'istinto di un animale avvertì la presenza di qualcuno e si bloccò, come se fiutasse l'aria, poi alzò lo sguardo verso il ponte.
- Ah! maledetto figlio di puttana! Eccoti finalmente, bastardo! -
Quella bocca vomitò un mare di insulti, onde rabbiose a schiantarsi inutilmente sugli scogli dell'indifferenza, solo attimi di schiuma densa che subito spariva, sgonfiata. Tanto rumore per niente.
- Stai proprio nero - si limitò a rispondere il contadino - forse gli affari non vanno bene? -
Nella voce aveva chiarissimo un velo d'ironia, qualcosa d'ostentato senza ritegno, apposta perché s'avvertisse.
- Niente! - urlò il Barone - qui non c'è niente, solo fottutissima sabbia, altro che Oro! -
- Non c'è Oro? - chiese il contadino esagerando tanto il tono di sorpresa da farlo risultare palesemente falso - Eppure lo hai visto tu stesso, l'Oro c'era! -
- C'era un accidente! Ne ho trovato ancora qualche piccolo pezzo, poi basta, sparito! Sono giorni che non ne vedo neppure un granello. -
Il contadino allargò le braccia, come a dire che lui non ci poteva fare niente e intanto sorrideva soddisfatto.
- Mi hai ingannato maledetto! - riprese ad urlare il Barone - ma io ti denuncio, giuro che ti farò marcire in galera e mi riprenderò tutte le terre, fosse l'ultima cosa che faccio! -
A quelle minacce rispose una risata strana, lunga e pacata; un sussurro di ridere, fatto più di compassione che d'allegria. Il vecchio ridendo scrollava la testa, come si fa coi bambini quando dicono qualche sproposito.
- E' vero - disse il vecchio, comparso all'improvviso chissà da dove - ti abbiamo ingannato. Qui non c'è mai stato Oro e noi lo sapevamo bene, ma la tua denuncia sarebbe inutile e ridicola. Hai voluto le nostre terre ad ogni costo, usando la forza e il ricatto della fame, fino a giocarti le terre e il titolo per un fiume secco e un po' di sabbia. L'hai voluto tu, di che ti lamenti adesso? -
Le labbra tese del Barone tremarono appena, nel tentativo di articolare qualche suono, senza che vi uscisse una sola parola, mentre gli occhi si velavano di lacrime calde, frenate a stento da ciò che restava di tutto l'orgoglio di un uomo.
- E' stata la tua avidità ad accecarti - continuò il servo - tanto che è bastato lo stupido scintillio di un pugno d'Oro a farti perdere tutto quello che avevi: la forza del potere, la ricchezza della terra e la dignità del blasone. -
- Come?...- riuscì a dire il Barone - come avete fatto? -
- Non è stato difficile - spiegò il vecchio - abbiamo raccolto tutto l'Oro di famiglia, ben poca cosa a dire il vero: qualche collanina di battesimo, gli anellini delle donne e le vere di matrimonio; c'erano molti dei nostri ricordi più cari in quel poco di prezioso che avevamo. Abbiamo poi fuso tutto in piccoli stampi di pietra grezza, per ottenere sassolini d'Oro, qualcosa di simile alle pepite vere, che abbiamo poi nascosto tra la sabbia del fiume, in un tratto di pochi palmi per poterle ritrovare facilmente; il resto lo hai fatto tu. -
- Rovinato! Mi avete rovinato! - si disperò il Barone - Rovinato! -
Era miseramente solo. I suoi uomini lo avevano abbandonato appena era stato chiaro che nel fiume non c'era traccia d'Oro, portandogli via quel poco che ancora possedeva. Stava in ginocchio sulla sabbia, e dondolava la testa con ampi movimenti, da una spalla all'altra, accompagnandoli con tutto il corpo che sembrava sincronizzato nel tentativo di mimare un netto rifiuto, l'impossibilità d'accettare una realtà tanto amara.
- Nessuno che abbia due braccia buone e l'umiltà di usarle può essere rovinato - disse il contadino sventolando un grosso pezzo di carta pieno di timbri colorati - questo è il contratto che ci impone di tenere chiusa la diga... - e con entrambe le mani stracciò il foglio una, due, tre volte - visto che l'Oro non c'è, quel contratto sarebbe servito solo a renderti arida la terra; ma l'acqua non ci appartiene, è un dono del cielo che piange il cuore vedere perso nel bosco.... Toglieremo la diga, e i campi torneranno fertili, così potrai guadagnarti di che vivere, come da sempre facciamo noi. -
Il Barone non rispose niente, solo piangeva, piegato e vinto da violenti singhiozzi muti.
Fu allora che il contadino fece un gesto strano. Strano ed enorme: si tolse il cappellaccio, quello di paglia brutto e goffo, lo stesso che gli aveva fatto la moglie, prezioso atto d'amore della sua donna, e dopo una breve esitazione lo gettò ai piedi del Barone.
- Tienilo tu - disse - a me sulle colline non serve più, là c'è il fresco dell'ombra degli alberi. -
Il sole era alto sull'orizzonte, già prossimo al mezzogiorno, quando il vecchio ed il contadino salirono verso le colline senza più voltarsi, con il passo privo di fretta di chi ha un buon posto dove andare ma sa di lasciarsi alle spalle un passato che rimpiangerà.
- Strana storia - commentò il vecchio dopo aver provato a schiarirsi la voce con un colpo di tosse secco, asciutto ed inutile - l'acqua e l'Oro. Niente ha un valore assoluto, tantomeno gli uomini. Dipende tutto da che parte si guarda, e può essere anche la parte sbagliata.-
Il contadino non fu proprio sicuro di avere capito ma sorrise lo stesso, menando una poderosa pacca sulla spalla del vecchio.
Nessuno vide l'uomo laggiù al fiume raccogliere un brutto cappellaccio di paglia e calarselo per bene sulla fronte, un poco di sbieco. Faceva caldo, tanto caldo.

Giovanni Ciaravolo © Copyright 1997 Tutti i diritti riservati

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