Menu principale:
Questo racconto ha vinto la Menzione d'Onore al concorso letterario
"Franco Delpino" 20° edizione 1997
L'acqua e l'oro
Stava per uscire quando la giovane donna gli si fece incontro, porgendogli un grande cappello di paglia con l'eccessiva premura di chi ama. L'indossò un poco di sbieco, calato per bene sulla fronte; poi, senza dire una parola, le sfiorò il viso con una carezza leggerissima, un gesto incredibile per quelle mani possenti, indurite dal lavoro ma ancora capaci di modulare tanta dolcezza quanta ne serviva per esprimere quel grazie.
Spalancò la porta che dava sui campi e senza esitare s'avviò verso l'ennesima giornata di lavoro, mostro di fatica a guardia d'un tozzo di pane.
Malgrado l'alba avesse appena smesso d'arrossare il cielo, l'aria s'era già fatta pesante, densa del vapore che la terra seccando liberava con qualche sfumatura d'azzurro, distorcendo le cose d'intorno, come fosse una grande lente difettosa retta da mani incerte. Il sole ancora basso già infieriva da un orizzonte invisibile, annullato dalla luce accecante che la grande sfera vomitava, liquefando ogni forma in una pozzanghera incandescente, confusa massa luminosa. Benedisse sua moglie per quel brutto cappellaccio di paglia, tanto ridicolo quanto vitale in una giornata come quella.
Al solito iniziò con l'andare ad aprire i canali per dare acqua ai campi, decidendo di farlo prima l'indomani mattina per non dovere bagnare una terra rovente, ormai incapace di assorbire acqua in profondità. Già sudava quando arrivò al raccordo. Fu solo allora che se ne accorse.
Il fosso grande era asciutto, completamente secco, lo strato di fanghiglia sul fondo già crepato. Mancava l'acqua, tutta, neppure una goccia.
D'estate un campo senz'acqua è la condanna per tutto il raccolto, qualcosa di enorme per le piccole braccia di un uomo. Faticò a dominare la disperazione, imponendosi di ragionare, per cercare un motivo che pure doveva esserci, una qualche causa da rimuovere per far tornare l'acqua. Decise in fretta che doveva andare al fiume per controllare il canale, forse ostruito dai detriti portati dalla corrente, l'unica spiegazione che gli sembrò possibile.
Quello che lui chiamava fiume era in realtà un grosso torrente, l'acqua fresca ed abbondante di una fonte sulle ripide colline che segnavano a Nord il confine dei suoi campi, un rotolare affannoso giù a valle, fino al grande fiume della pianura, l'ultimo tratto del lungo viaggio per incontrare il mare, l'infinito dove confondersi.
Il sole s'era fatto feroce e l'acqua lontana, non ricordava tanto. Giunto sull'argine vi si inginocchiò, come colpito allo stomaco da un pugno forte, come vinto da quel che aveva di fronte, ben oltre il peggio che aveva saputo immaginare. Il canale era libero, niente che impedisse all'acqua di passare, solo che l'acqua non c'era, per niente, quasi non ci fosse mai stata. Il letto del torrente era inesorabilmente asciutto, tanto arido che al pianto del contadino non sarebbero bastati cent'anni per inumidirlo appena.
Certe schiene però non sanno stare piegate senza terra da zappare, così si calmò quel tanto che poteva bastare a rialzarsi e riprendere il cammino, per ripercorrere il corso di quel rivo arso fino alla ragione della sua siccità, fino al perché di quella morte. Risalì per un bel pezzo la collina, dentro nel bosco, dove le fronde fitte dei castagni intrecciavano ombrelli d'ombra che gli concessero finalmente un po' di sollievo. Camminò ancora per un buon tratto, arrivando dove il corso scosceso del torrente s'addolciva in una breve spianata per poi deviare secco e tornare a farsi ripido sul fianco della collina. Qui, proprio dove il letto deviava a gomito, un mucchio di grandi pietre miste a fango ostruivano il passaggio all'acqua che si allargava nel piccolo piano a formare un laghetto che sul bordo più basso rompeva gli argini, scaricando l'acqua sul fianco opposto della collina, in mezzo al bosco, dove si perdeva in mille rivoli inutili. Il contadino si fermò. Era arrivato.
Quel muro di pietre non poteva essere il capriccio del caso, una frana o il trasporto della corrente. Tutti quei massi li aveva certo portati qualcuno e disposti con cura e mestiere perché deviassero l'acqua proprio in quel punto; inconfondibile c'era la mano dell'uomo in quel disastro. Non se ne curò molto e rinunciando a inutili domande si limitò a fare l'unica cosa che avesse per lui un senso: si mise a togliere le grosse pietre, una per una, gettandole oltre la sponda del torrente. Stanco e sfinito dal caldo trovò nella disperazione la forza di continuare, rianimato dal contatto con l'acqua che cominciava a filtrare dalle prime brecce nella diga.
Assorto in quel gran maneggiare di pietre non s'accorse degli uomini che silenziosi erano comparsi sul costone e lo stavano osservando immobili, come animali a caccia, fino a quel ruggito.
-
Il tono di quella voce gli gelò il sangue, un verso secco ed imponente, allenato al comando. Tra le vibrazioni di un'accusa modulava l'acuto di una condanna senza appello. Il contadino ripose istintivamente la pietra che aveva in mano nel mucchio da dove l'aveva tolta e volse lo sguardo al gruppo di uomini che continuavano ad osservarlo tesi in una fissità irreale, cariche pronte a scattare. Erano una decina, armati di grossi fucili che ostentavano con arroganza. L'uomo che aveva parlato stava un passo avanti agli altri con le mani sui fianchi ed una smorfia che gli contraeva il viso in un ghigno agghiacciante, il piacere di una belva in agguato che fiuta l'odore della preda.
Non era difficile riconoscere in quell'uomo il Barone, anche se giù in paese era stato visto solo poche volte. Certi uomini rimangono impressi, forse per esigenze di sopravvivenza.
Il Barone era il nuovo padrone delle colline, ma non era chiaro a nessuno come ne fosse venuto in possesso; circolavano però certe voci su come avesse estorto quei terreni al vecchio proprietario, un giro di prestiti ad usura, impossibili da saldare.
-
-
Riprese una pietra per continuare il lavoro che credeva di aver giustificato a sufficienza, ma non ebbe il tempo di gettarla via.
-
-
-
Il contadino non rispose subito, spiazzato da quell'arrogarsi un diritto che non conosceva.
-
Il Barone esplose in una risata, forte e umiliante:
-
-
-
Il contadino s'acquietò un poco, scorgendo uno spiraglio, il barlume d'una speranza.
-
-
-
Il Barone fece qualche passo carezzandosi quel po' di barba che s'ostinava a lasciar crescere.
-
Seguì un'altra lunga pausa, lo studiato indugiare d'un attore consumato.
-
Il contadino sbiancò in volto, poi balbettò:
-
Al Barone venne quello doveva credere un sorriso.
-
Il contadino stringeva ancora in mano una grossa pietra e dovette imporsi una faticosa calma per non cedere all'impulso di scagliarla contro quella voce odiosa.
-
-
Il contadino tacque, fissandolo con uno sguardo che non voleva piegarsi ad implorare ma che non possedeva più la forza dell'orgoglio.
-
-
-
-
Il Barone mosse solo un braccio per fermare quel paio dei suoi uomini che s'erano fatti qualche passo avanti, brandendo i fucili.
-
Il contadino non riuscì a replicare nulla, sopraffatto dalla furia che gli montava irrefrenabile; scagliò in terra la pietra che teneva ancora in mano e voltò le spalle al Barone, riscendendo il corso del torrente a lunghe falcate, quasi correndo. Non sentiva più la fatica, il caldo torrido o la sete, non sentiva più niente, neppure i muscoli che gli muovevano meccanicamente il corpo ad un passo eccessivo.
Non trovò il coraggio di tornare a casa. Attraversò tutti i suoi campi e si accasciò all'ombra di un albero, l'unica grande quercia sul confine di Levante.
Il vecchio arrivò poco dopo, chissà da dove, e senza fare domande si sedette accanto al padrone. Aveva il viso segnato da rughe profonde, l'intaglio grezzo del sopravvivere che gli scolpiva una severità appena stemprata dalla pacatezza dello sguardo. Da sempre era al servizio di quella famiglia con cui divideva le tante fatiche e i pochi frutti. Aveva lavorato col padre e prima ancora col nonno di questo padrone, guadagnandosi il rispetto di tutti, tanto ch'era rimasto servo solo nel proprio atteggiamento, parte di un senso del dovere che nessuno gli pretendeva più.
Stettero così, seduti fianco a fianco, in un silenzio irreale, tutto il tempo che ci volle al contadino per sciogliere quel nodo intricato che aveva nel petto e liberare finalmente un pianto sfinito, debolissimo, così difficile da accettare. Tra le lacrime raccontò con un filo di voce il furto dell'acqua e l'avidità del Barone. Il vecchio ascoltò senza mostrare sorpresa, quasi distratto, come se conoscesse già quella storia, la solita di ogni sopruso. Quando il racconto del contadino fu terminato stette ancora un po' in silenzio, come a cercare le poche parole che bastavano:
-
Era un ricordo quasi perso, sopravvissuto nella memoria di qualche anziano che lo aveva riposto da tempo tra le cose inutili, di quando le terre della famiglia non si spingevano sino al fiume ma erano un podere molto più modesto e l'acqua per i raccolti veniva ancora attinta da un vecchio pozzo che stava proprio sul confine di Levante. Costava fatica allora irrigare i campi con i secchi e la forza delle braccia, fino a quando venne il giorno del matrimonio, quello del primogenito con la bella figlia del vicino che portò in dote le terre a ridosso del torrente, dono prezioso dell'amore di un padre a cui portavano via l'unico fiore. Furono subito scavati i canali d'irrigazione, poi, quando nei campi arrivò finalmente l'acqua del fiume, il pozzo venne subito chiuso, come a sotterrare in fretta la memoria di tanto sudore.
Il vecchio non aveva mai avuto pudore dei ricordi, per quanto dolorosi fossero, e sapeva ancora bene dov'era un tempo l'apertura del pozzo: per mostrarla al padrone non dovette neppure alzarsi, gli bastò levare il braccio e puntarlo proprio dove stava seduto il contadino, sul mucchio di pietre sotto la vecchia quercia.
L'acqua tornò ben presto nei canali, ma era acqua amara, inasprita dalla fatica fatta nel silenzio dell'orgoglio, per salvare comunque il raccolto, alla faccia del Barone.
Sarebbe potuto finire tutto lì, col Buono che in qualche modo la spunta sul Cattivo, nel più classico dei finali, che vuole il Bene trionfare sul Male, epilogo scontato e retorico; però certe storie attingono linfa dalla realtà, non sono favole fantastiche per gli stomaci delicati dei bambini. Hanno qualcosa di vero, e se nelle storie ci metti la vita allora capita di sentire la puzza del Male, la tenacia ottusa dell'avidità.
Quella mattina il contadino andò per primo alla grande quercia ad aprire il pozzo come faceva ormai da diversi giorni, ma appena scostò la pesante lastra d'ardesia che ne chiudeva l'apertura un forte fetore si diffuse nell'aria, un tanfo di marcio insopportabile. Un solo secchio fu calato per raccogliere quell'acqua fetida, giallastra e densa, con tutta la famiglia immobile intorno al pozzo a fissare un insignificante recipiente colmo d'odio, cercandone in silenzio il perché. Solo il vecchio ebbe il coraggio di cucire addosso al sospetto di tutti gli stracci di poche parole:
-
Il Male è incomprensibile a chi non sa servirsene per vendicarsi. Occhio per occhio è un peccato punito con lo stesso peccato, bisogna averci lo stomaco del boia. Se non può diventare rabbia, il male subìto rischia di diventare rassegnazione, ciò di cui si nutre la prepotenza. Fu ancora il vecchio a parlare, rompendo il pianto delle donne, il lamento dei giovani ed il silenzio agghiacciante degli uomini:
-
Parlò il vecchio, molto più a lungo del suo solito centellinare l'essenziale, ma per certe cose aveva bisogno di più parole, di tutta quella saggezza cresciuta tra la povera gente, come in un terreno sterile lavorato a lungo con l'ostinazione della fame, fino a renderlo fertile a forza di sterco.
-
Non terminò la frase ma si avvicinò al contadino e con un lieve cenno del capo si fece seguire un po' in disparte, dove nessuno potesse ascoltare cos'altro aveva da dire, come se raccontarlo a tutti fosse troppo per quel sottile filo di speranza che poteva spezzarsi di colpo a reggere tante attese.
Il giorno dopo nel ponte sul torrente, vicino al confine che divideva le colline dai campi, il Barone passò con un paio dei suoi uomini alla ricerca di un incontro che sembrasse casuale e che non tardò a trovare proprio in quel punto, dove il letto del fiume si faceva profondo e la mancanza d'acqua lasciava scoperto uno spesso strato di ghiaia tanto fine dal sembrare sabbia. In ginocchio su quell'arenile stava il contadino ad armeggiare con una sorta di setaccio, un attrezzo fatto con materiale di recupero, in fretta. Il Barone si fermò incuriosito ad osservare l'uomo che freneticamente passava manciate di sabbia tra le maglie grossolane della rete metallica.
-
-
Il Barone provò a sfoderare l'ennesimo sorriso che avrebbe voluto divertito e maligno ma che non gli riuscì.
-
-
Il contadino pronunciò quella parola preziosa con quanta più enfasi poté, come a volerla ingrandire a dismisura per renderla degna di ciò che nominava.
-
-
In un attimo il Barone attraversò il ponte e scese precipitosamente dalla sponda verso il letto del fiume dov'era il contadino che già gli tendeva la mano aperta, colma di pietre gialle e lucenti, a prova di ciò che diceva.
-
Il Barone diede appena uno sguardo all'Oro, il minimo indispensabile a valutarlo, come se non sopportasse la vista di quel nobile metallo nelle mani di un contadino, indegne di qualunque ricchezza, buone solo per spalare letame.
-
Si chinò a raccogliere il setaccio e vi gettò un paio di manciate di sabbia che scrollò rabbiosamente, facendola passare tutta per la griglia che però rimase vuota. Provò ancora, fino a quando qualcosa brillò tra gli ultimi frammenti di ghiaia. Il contadino sorrise con l'aria un poco ebete di chi ha avuto una conferma che non gli serviva.
-
Per un lungo istante sembrò che non succedesse niente e l'eco ingombrante di quella voce ebbe il tempo di dissolversi nell'aria senza che un solo gesto ne accompagnasse l'oblio. Poi qualcosa tornò a muoversi e fu ancora voce, quella ferma e pacata del vecchio, comparso all'improvviso sul ponte, come materializzato dal nulla. Aveva il tono solido della ragione, pochi colpi precisi per sgretolare un castello di soprusi:
-
Il Barone dovette fare uno sforzo per riuscire a restare calmo, limitandosi a cambiare tono, per usare il suono senza inflessioni di chi parla a se stesso, come se quel servo non fosse neppure degno di una risposta.
-
-
Le parole del vecchio fecero perdere al Barone quel poco di pazienza che ancora gli restava, fragile equilibrio andato in frantumi.
-
Poteva sembrare una mossa vincente, di quelle definitive. A monte di quell'ansa il fiume scorreva sulle terre del Barone, così al contadino mancava lo spazio per costruire un'altra diga. Il vecchio aveva però un'ultima mossa, un pezzo ancora libero sulla scacchiera, una piccola pedina da mettere al posto giusto e dare scacco:
-
Fece una lunga pausa, senza che il Barone avesse la forza d'interromperla.
-
Sorrise, con un sorriso aperto, disarmante, di quelli che non hanno nulla da nascondere e ciò che significano ve lo si legge chiaramente. Al Barone non piacque.
-
Il contadino si rimise il cappello in testa e tornò eretto, in una posizione più dignitosa, poi si portò le mani sui fianchi e parlò con una voce che il Barone non gli conosceva, l'accento inconfondibile dell'orgoglio, il timbro di chi difende molto di più che un pezzo di terra.
-
-
-
Aveva alzato il prezzo di molto, tanto che fosse troppo, andando ben oltre il valore delle cose, per chiedere quello che un uomo non dovrebbe mai essere in grado di vendere, la propria dignità. Il Barone sgranò gli occhi, incapace di nascondere la sorpresa per quella richiesta insensata. Faticò a rispondere:
-
-
ll Barone taceva confuso, visibilmente combattuto tra l'orgoglio della nobiltà e la forte tentazione dell'Oro. L'esatto valore di quel blasone gli sfuggiva, tesoro costato assai poco, ereditato per diritto di nascita, mentre sotto quel po' di sabbia giaceva una vera fortuna, ricchezza, lusso ed abbondanza oltre lo spreco.
-
-
-
Gli sguardi del vecchio e del contadino si cercarono per incontrarsi in un chiaro segno d'intesa, l'identica luce che vi brillava come riflessa da un'anima sola. L'accordo si fece la sera stessa davanti al notaio del paese, firmando una montagna di carte bollate, pochi spiccioli d'inchiostro a sporcare decine di fogli assolutamente inutili se non fosse per l'attitudine di certa gente a fottere il prossimo.
Fu così che il contadino diventò nobile e tornò ad avere della buona terra, anche se a giudicare da come l'avevano lasciata, gli uomini del Barone dovevano essere più abili a menare le mani che a usare una zappa. Le colline erano però ricche d'acqua ed in parte coltivate a terrazze, quegli enormi scaloni in pietra riempiti di terra come vasi giganti, grandi quanto doveva essere la fame di chi si spezzò la schiena per inventarsi qualcosa da seminare anche lassù. Decine di filari d'uva, vigne buone per il vino, e poi ulivi per l'olio, castagni ed alberi da frutta. Tonnellate di lavoro insomma, che non potevano però spaventare una famiglia di contadini, gente senza tempo da perdere.
Passò un solo giorno e già il contadino era impaziente di andare giù al fiume. Il vecchio dovette faticare parecchio per riuscire a convincerlo che non era ancora tempo. Così, lentamente, passò anche il secondo giorno, ma non bastava ancora, bisognava rassegnarsi ad aspettare. Poi finalmente arrivò il terzo giorno, quello buono.
-
Il contadino arrivò al ponte quasi correndo, col fiato corto, ma si fermò solo quando riuscì a vedere il letto asciutto del fiume per posarci lo sguardo, fissando un punto preciso, dove fino a qualche giorno prima scorreva impetuosa l'acqua delle colline, mentre adesso non c'era più niente, solo un uomo sudato, curvo sulla sabbia. Ciò che restava del Barone era quasi irriconoscibile. Sporco e stanco maneggiava il setaccio senza più forza né convinzione, quasi senza più cercare. Solo negli occhi aveva ancora dell'energia, lampi di luce malata, febbrile, la forza irriducibile della follia. Con l'istinto di un animale avvertì la presenza di qualcuno e si bloccò, come se fiutasse l'aria, poi alzò lo sguardo verso il ponte.
-
Quella bocca vomitò un mare di insulti, onde rabbiose a schiantarsi inutilmente sugli scogli dell'indifferenza, solo attimi di schiuma densa che subito spariva, sgonfiata. Tanto rumore per niente.
-
Nella voce aveva chiarissimo un velo d'ironia, qualcosa d'ostentato senza ritegno, apposta perché s'avvertisse.
-
-
-
Il contadino allargò le braccia, come a dire che lui non ci poteva fare niente e intanto sorrideva soddisfatto.
-
A quelle minacce rispose una risata strana, lunga e pacata; un sussurro di ridere, fatto più di compassione che d'allegria. Il vecchio ridendo scrollava la testa, come si fa coi bambini quando dicono qualche sproposito.
-
Le labbra tese del Barone tremarono appena, nel tentativo di articolare qualche suono, senza che vi uscisse una sola parola, mentre gli occhi si velavano di lacrime calde, frenate a stento da ciò che restava di tutto l'orgoglio di un uomo.
-
-
-
-
Era miseramente solo. I suoi uomini lo avevano abbandonato appena era stato chiaro che nel fiume non c'era traccia d'Oro, portandogli via quel poco che ancora possedeva. Stava in ginocchio sulla sabbia, e dondolava la testa con ampi movimenti, da una spalla all'altra, accompagnandoli con tutto il corpo che sembrava sincronizzato nel tentativo di mimare un netto rifiuto, l'impossibilità d'accettare una realtà tanto amara.
-
Il Barone non rispose niente, solo piangeva, piegato e vinto da violenti singhiozzi muti.
Fu allora che il contadino fece un gesto strano. Strano ed enorme: si tolse il cappellaccio, quello di paglia brutto e goffo, lo stesso che gli aveva fatto la moglie, prezioso atto d'amore della sua donna, e dopo una breve esitazione lo gettò ai piedi del Barone.
-
Il sole era alto sull'orizzonte, già prossimo al mezzogiorno, quando il vecchio ed il contadino salirono verso le colline senza più voltarsi, con il passo privo di fretta di chi ha un buon posto dove andare ma sa di lasciarsi alle spalle un passato che rimpiangerà.
-
Il contadino non fu proprio sicuro di avere capito ma sorrise lo stesso, menando una poderosa pacca sulla spalla del vecchio.
Nessuno vide l'uomo laggiù al fiume raccogliere un brutto cappellaccio di paglia e calarselo per bene sulla fronte, un poco di sbieco. Faceva caldo, tanto caldo.
Giovanni Ciaravolo © Copyright 1997 Tutti i diritti riservati